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MONITOR


mer 18 settembre 2019

Cala il sipario sul reality di Westminster

I divanetti verdi sono rimasti vuoti, gli "honourable gentlemen" allevati come polli da batteria nelle più prestigiose università sono stati costretti a concludere anzitempo il loro spettacolo. E tutto intorno a Westminster, a progressivi cerchi concentrici dal privilegio al degrado, Londra narcotizza l'attesa della Brexit in modalità "business as usual".

Prorogation. Cala il sipario su Westminster. Con la sospensione dei lavori proposta dal primo ministro Boris Johnson e – come da protocollo – controfirmata dalla regina Elisabetta II, il Regno Unito si ritrova orfano del “reality show” di certo più popolare negli ultimi tre anni.
Format particolarmente longevo, qualche centinaio di anni, tradizione cara alla corona e ai suoi sudditi: chiudere in una grande sala alcune centinaia di britannici, meglio se maschi bianchi di mezz’età, e vederli dibattere e insultarsi dandosi dell’honourable gentleman o dell’esteemed colleague.
Una perenne rievocazione storica nel tempio della democrazia britannica sopravvissuto al tritolo di Guy Fawkes e, qualche secolo dopo, ai miasmi putridi del Tamigi durante la Great Stink di metà Ottocento.
Prorogation. Nel sabotare la pantomima parlamentare britannica, Johnson ha saputo dimostrarsi più efficace delle bombe e della merda. I divanetti di pelle verde, alla mercé della polvere fino al prossimo 14 ottobre, hanno fatto da sfondo a tenzoni retoriche spettacolarmente vacue, la specialità di una classe politica allevata in batteria a Oxbridge per coniugare l’odiosa etichetta della classe dirigente a una performance teatrale forzatamente prosaica.

Johnson ha alternato la manciata di presenze alla House of Commons – suonato come una zampogna da destra e sinistra e sconfitto in sei votazioni in sei giorni, record negativo nella storia del Regno Unito – a sparate degne dei Monty Python. Prefigurando, tra le altre, il rilancio delle esportazioni della Pork Pie negli Stati Uniti come simbolo della imminente ripresa economica post-Brexit. O accusando il leader Labour Jeremy Corbyn di voler allineare Londra ai suoi amici «al Cremlino, a Caracas e Teheran».
Tattica con ogni probabilità architettata da Dominic Cummings, strategist in chief del primo ministro scoperto a vagare sbronzo per i corridoi di Westminster come un comprimario qualsiasi di The Thick of It.
Dissolution. Tutto intorno a Westminster, a progressivi cerchi concentrici dal privilegio al degrado, Londra narcotizza l’attesa del 31 ottobre in modalità business-as-usual.
La City brulica di yuppies fuori tempo massimo, spremuti fino al midollo dalla rat race finanziaria che scandisce le loro esistenze dal lunedì al venerdì, poi viene il coma etilico del sabato pomeriggio al pub, infine la domenica con cibo espresso by Deliveroo e una puntatina alla “clinica del benessere”, a iniettarsi il coraggio per la prossima settimana.

Nella hipster belt dell’East London, invece, stanze singole a 900 sterline al mese in case diroccate da 6 stanze e un bagno, l’esercito dei creativi va in transumanza dai localini indie agli orti urbani: poke bowl avocado e salmone a pranzo, poi sgambettata sulla bicicletta con il telaio in titanio per non dispiacere a Greta.
Opzionale, gita al carnevale di Notting Hill, celebrazione dell’orgoglio caraibico piegata a misure di sicurezza da striscia di Gaza. Infine le periferie, minoranze etniche e “white scum” gomito a gomito nei casermoni, all’ombra dei centri commerciali si passano di mano palloncini di plastica gonfi di ossido nitroso: popolare “party drug”, dice la stampa, ma buona soprattutto per passare pomeriggi al parcheggio del super store Tesco.
Dissolution. Verranno le adunate di piazza pro-Remain, coi loro fiumi di bandiere dell’Unione Europea e dei vari Paesi membri, compresa la Grecia dilaniata dalla Troika, e migliaia di Indignados. Tutti rigorosamente caucasici. Verranno anche i commiati accorati per le dimissioni di John «Ordeeeeer» Bercow da speaker del parlamento.

Verrà il 31 ottobre e, dentro o fuori dall’Europa, verrà il 5 novembre, la festa della repressione. Guy Fawkes non ha mai smesso di bruciare, la melma ancora imputridisce il Tamigi. Le finestre di Westminster sono illuminate a giorno dai fuochi d’artificio e milioni di Danny Nedelko stanno ancora col naso all’insù, ad aspettare la fine.


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